Soffrire con la natura

Qualche giorno fa mi sono ritrovato a pensare al significato di compassione.

Cosa significa compassione?

Una delle prime cose che mi viene in mente è, ahimè, il suo significato negativo, e cioè una reazione di disprezzo o noncuranza di fronte a una persona sofferente (“quello/a lì mi fa compassione”).

Ma compassione significa “patire con”, cioè sentire la sofferenza di se stessi o degli altri. Non vuol dire necessariamente partecipare a questa sofferenza senza fare nulla, ma cercare di comprenderla e di alleviarla quando se ne ha la possibilità.

Tempo fa ho trovato un’immagine nel web che secondo me rappresenta bene questo concetto. Non ho la minima idea della provenienza della fotografia, ma mi ha subito colpito: il rapporto tra uomo e animale.

Così l’ho disegnata di getto, a modo mio e senza pensarci troppo. Mentre disegnavo liberamente ho ripensato al significato di compassione, di empatia e a quanto impegnativo sia per me aprirmi con altre persone, incluso me stesso.

Il risultato è stato questo:

empatiaSono cose che sto imparando lungo la mia scalata. Di resistenza la mia mente ne oppone, e molta anche.

La mia mente fino a pochi mesi fa sembrava fatta per una sola cosa: risolvere. Ho freddo? Risolvo. Ho fame? Risolvo. Ho mal di pancia? Risolvo. Voglio una cosa? Risolvo. Non mi piace una cosa? Risolvo.

Non mi piace un pensiero? Risolv… Risolv… errore, cortocircuito.icons8-close-window-48

Non mi piace un sentimento? Risolv… Risolv… errore, cortocircuito.

Non mi piace l’ansia? Risolv… Risolv… errore, cortocircuito.icons8-close-window-48

E così via…

Il significato di “risolvere” forse potrà cambiare da persona a persona. Per me risolvere significa “risolvere razionalmente”, proprio come si risolve un’equazione.

Voglio trovare l’incognita? Risolvo.

Voglio calcolare il massimo di una funzione? Risolvo.

Voglio scrivere un programma? Risolvo.

Di fronte alle difficoltà interne, risolvere è una cosa che non sembra funzionare.

Non sto assolutamente criticando il pensiero logico e razionale, anzi. Lo trovo estremamente utile in molti ambiti. Poi quella che uso io è una razionalità “cieca”, senza cambi di prospettiva, che gira sempre intorno allo stesso problema senza mai riuscire – ovviamente – a risolverelo! (aka rimuginazione).

Guardando il disegno della bambina con l’elefante mi accorgo che non c’è nulla da risolvere. C’è molto da sentire e comprendere.

Spero che questo breve articolo vi piaccia. Un saluto a tutti 🙂

 

 

L’unione tra corpo e mente

Recentemente mi è capitato di sentir dire che:

La libertà del pensiero passa per la libertà del corpo.

Cosa significa?

Significa l’inizio di una “nuova” indagine lungo la mia scalata. Non così nuova, a dire il vero.
Significa prestare attenzione alle reazioni del mio corpo a particolari pensieri, emozioni o sensazioni.
Le direzioni che si possono individuare sono due:

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pensiero -> corpo
corpo -> pensiero

La prima direzione è conosciuta anche con il nome di “somatizzazione”.
Usando l’immaginazione e guardando alla situazione da una prospettiva diversa, questo è incredibile!
Una cosa irreale, immateriale e intangibile come il pensiero ha una manifestazione concreta, reale e il più delle volte scarsamente controllabile.
Se fosse controllabile, tutta la “magia” di questo processo verrebbe persa. Si tratta di un processo così speciale che ogni persona lo fa in modo diverso. Il corpo può, in fin dei conti, essere estremamente creativo nel somatizzarei pensieri, le emozioni o le sensazioni.

Ok… dov’è l’inghippo?

Semplice! L’inghippo arriva quando il modo in cui il nostro corpo compie questa somatizzazione ci crea del disagio fisico (ad esempio, in disturbi d’ansia o dell’umore).
Ho sentito parlare pochissime volte di somatizzazione della felicità, eppure se ci penso il processo è lo stesso!

La direzione opposta (corpo -> pensiero) è di più facile intuizione. Se il corpo sta male, difficilmente verranno prodotti pensieri positivi.

Ecco che abbiamo un loop: pensiero -> corpo -> pensiero ecc… la somatizzazione sembra autoalimentarsi, quando è considerata “negativa”!
Se ci sono dei pensieri negativi che influenzano il corpo, producendo disagio fisico, il corpo a sua volta darà il via a un nuovo giro di pensieri negativi… in altri termini, alla rimuginazione.

Quale potrebbe essere un buon modo per rompere questo loop?
Non ho trovato una risposta soddisfacente, ho pensato che un buon prerequisito potrebbe essere la libertà di pensiero.
Se all’interno di questo loop avessi più libertà, forse potrei “spostarmi” e produrre pensieri più proficui.
Ma… la libertà di pensiero è un obiettivo difficile al momento.
Così, come nei migliori fantasy, il viaggio dell’eroe incontra un bivio, anche in questo caso occorre che io prenda una strada diversa.

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Un sentiero diverso per percorrere la montagna.
Se la libertà di pensiero passasse attraverso quella del corpo?
Potrei dedicarmi alla cura del corpo, ad esempio con una buona dieta, esercizio fisico, massaggi, una corretta respirazione, e una quantità di sonno sufficiente… la lista potrebbe continuare per molto tempo.

Il percorso non è affatto lineare. Nel tempo infatti, le sensazione più sgradevoli potrebbero anche scomparire. Però, il corpo è molto creativo e potrebbe cambiare modo di somatizzare.
Per questo sento di doverlo ascoltare di più, come se dovessi ascoltare il mio migliore amico.
Quante sensazioni mi sfuggono? Quanto poco tempo mi prendo per apprezzarle, anche quando sono negative?
Ecco… apprezzare le sensazioni negative sembra un buon modo per cominciare a sciogliere il loop di cui parlavo sopra.
L’ascolto amorevole di se stessi (dei pensieri e del corpo) è un lavoro difficile.

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Eppure il mio cammino sulla montagna sembra puntare verso questa direzione, al momento.
Spero di aver dato nuovi spunti ad altri viandanti come me.
A presto.

La montagna – stendardo del blog!

Oggi volevo segnalarvi un sito che seguo da tempo: http://www.markfreeman.ca/

Qualsiasi informazione a proposito di Mark Freeman è reperibile sul suo sito. L’unica cosa che mi sento di dire al riguardo è che lui si approccia a problemi di tipo psicologico in un modo del tutto innovativo e disarmante.

Purtroppo per chi non mastica bene l’inglese può essere difficile capirci qualcosa.

Il motto del suo sito è “Mental health and fitness is a practice”. Si basa sul paragone tra la salute del corpo e quella della mente. Cervello e corpo vanno allenati allo stesso modo.

In uno dei suoi ultimi articoli Mark scrive:

Mental health challenges are like mountains. These challenges have peaks. We like sticking names on the peaks. The peaks of these challenges catch our attention and we go to get help for the name we’ve stuck on that peak.

In sintesi, dice che che le sfide psicologiche sono come delle montagne! Ed è proprio la metafora del mio blog!

L’unica differenza è che lui attribuisce alla vetta della montagna l’evento da noi temuto. Io invece vedo la vetta della montagna come la fine della mia sofferenza.

Cosa che, mi sto rendendo conto, sarà impossibile. Non esiste una vetta, ogni giorno c’è un pezzo di strada da scalare… può essere però che la montagna a poco a poco svanisca.

Ma di questo ne parlerò in seguito.

Tornando alla metafora di Mark, lui dice che le vette di queste montagne catturano immediatamente la nostra attenzione, mentre dovremmo concentrarci su ciò che permette la loro costruzione. Anche se arrivassimo alla vetta, ci sarebbe ancora l’intera montagna… che probabilmente si “sposterebbe” al prossimo problema.

Insomma, Mark parla di una serie di montagne che crescono a seconda delle nostre sfide della vita.

Molto interessante!

Cosa ci fa costruire queste montagne? Come possiamo comprendere i meccanismi della nostra mente? Queste sono domande che dovrei pormi nei momenti più difficili.

Per concludere, come Potterhead non posso fare a meno di inserire una citazione di Albus Silente a tal proposito:

Understanding is the first step to acceptance, and only with acceptance can there be recovery.

Traduzione:

Capire è il primo passo per accettare, e solo accettando si può guarire. 

Una frase che mi piace molto.

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Quarto Mandala, un nuovo colore

Sono arrivato al quarto mandala, questa volta finito in collaborazione con una mia amica durante le festività natalizie.

Ne condividerò altri due colorati sempre da lei.

Tutto ciò aggiunge un nuovo “colore” al mio libro di mandala: il colore della condivisione.


mandala

Emozioni, queste sconosciute

Giorno imprecisato della scalata, la temperatura si sta abbassando… sento un leggero nodo alla gola… lo stomaco un po’ chiuso…
Proprio come temevo: il sentiero sta riprendendo a salire.
Prima reazione: non di nuovo, non di nuovo! Basta camminare, sono stanco; voglio tornare indietro dove stavo bene.
Seconda reazione: ciao prima reazione, perché non hai nessuna fiducia in me?
E il flusso continua, ma qualcosa sta cambiando.

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Bando alle ciance ora e veniamo all’articolo di oggi. L’ho chiamato “Emozioni, queste sconosciute” – ovviamente non a caso.
In passato ho parlato del libro di Goleman “Intelligenza emotiva”, del quale ho temporaneamente sospeso la lettura, ma conto di riprenderla in futuro.

Ora voglio parlarvi di un video che ho trovato su YouTube, che sostengo e condivido.
Nonostante il nome del canale “The School of Life” mi stia un po’ antipatico – le parole “scuola” e “vita” insieme stonano nella mia testa – ne ho apprezzato molto i contenuti.
Qui di seguito propongo il link e una traduzione (riarrangiata):

Traduzione (ho messo i commenti personali in corsivo per disambiguare)

“Come elaborare le emozioni” – “How to process emotions”

“È davvero strano che alcune delle emozioni che proviamo non vengano riconosciute, comprese o sentite appieno dalla nostra mente – da qui il titolo dell’articolo! 😉 
Alcuni sentimenti esistono dentro di noi in una sorta di stato grezzo. Una grande quantità di preoccupazioni può, ad esempio, essere repressa o non interpretata correttamente, manifestandosi in seguito sotto forma di un oceano d’ansia.
Sull’onda di quest’ansia, potremmo sentire un bisogno compulsivo di tenerci occupati; potremmo avere paura di rimanere da soli e perciò avvinghiarci ad attività che ci assicurino di non incontrare quello che ci fa paura faccia a faccia.
Un simile evitamento lo si attua anche di fronte al dolore. Quando ci sentiamo sfruttati, sottostimati o derisi dagli altri fuggiamo da un sincero confronto con queste emozioni, poiché temiamo di sentirci vulnerabili.
Il dolore è nascosto da qualche parte al nostro interno, ma in superficie mostriamo un fragile sorriso (l’illusione della tristezza che non si conosce – beata ignoranza!), ci intorpidiamo con alcool o altre sostanze, oppure adottiamo un tono cinico costruito con attenzione, che maschera la ferita interna.
Senza nemmeno accorgercene, paghiamo quotidianamente un conto salato per aver fallito nell’elaborare i nostri sentimenti. La nostra mente cresce con un timore nei confronti di questi contenuti, nascosto dietro le quinte.
Diventiamo depressi perché non possiamo più permetterci di essere tristi per qualcosa – e questo è paradossale! Non dormiamo più: l’insonnia diventa la rivincita dei pensieri che non abbiamo elaborato – o peggio, soppresso! – durante il giorno.
Abbiamo bisogno di essere compassionevole con noi stessi (ciò non significa piangersi addosso, ma comprendere il proprio dolore e non ripudiarlo).
Come già detto, falliamo nell’elaborare queste emozioni perché ciò che proviamo è molto diverso dall’immagine che noi stessi ci siamo creati, oppure è contrario alle idee di normalità trasmesse dalla società attuale, o completamente in contrasto con chi vorremmo essere.
La situazione migliorerebbe se tutte queste difficoltà legate all’essere umano fossero apertamente riconosciute e accettate. Non falliamo di riconoscerle per pigrizia o perché ci trascuriamo, lo facciamo semplicemente perché fa male.
Elaborare queste emozioni richiede dei buoni amici, degli abili terapeuti e dei momenti meditativi/introspettivi in cui le nostre normali difese possono essere messe da parte e creare una zona “protetta”.
Il risultato dell’elaborazione delle emozioni è sempre un alleviamento del nostro umore generale, ma prima dobbiamo pagare questa autoconsapevolezza. Il conto è rappresentato da un periodo di ritiro, di lutto, durante il quale gradualmente riconosciamo che in alcuni momenti la vita è semplicemente molto più triste di come la vorremmo”
…e aggiungo: ma non per questo dobbiamo metterla in pausa e gettarci a capofitto nell’elaborazione di queste emozioni, sarebbe come tentare di controllarle, che non è diverso da sopprimerle. Quello che è possibile fare è “prenderle” per mano e portarle con noi lungo il cammino (nel mio caso, della Montagna).

Ne approfitto per augurare a tutti buone feste!

A presto! 🙂